Sabato pomeriggio al Salone del libro di Torino presso lo stand di Ediciclo Editore abbiamo incontrato Claude Marthaler. Se il nome non vi dice nulla date un’occhiata al suo sito e poi tornate qui per conoscerlo un po’ meglio. Cinquant’anni, ma ne dimostra dieci di meno, Marthaler a ventotto anni partì da Ginevra in bicicletta per raggiungere l’Himalaya (1988-1991).
Una volta tornato – sicuro che il suo “soggiorno in Svizzera non sarebbe stato altro che uno scalo” – non rimase fermo a lungo: il 12 marzo 1994 ripartiva alla volta del Giappone e avrebbe rivisto la sua città natale solo sette anni più tardi, il 16 giugno 2001 dopo aver toccato l’Eurasia, le Americhe e l’Africa. Dopo il salto le sue parole raccolte da outdoorblog.it.
Claude Marthaler: le foto
Grazie all’aiuto indispensabile di Fabrizio Fiocchi, che mi ha aiutato a dialogare con Marthaler in francese, ho potuto fargli alcune domande sorte spontanee leggendo il suo libro. Ad esempio: perché era andato a “cercarsi” le montagne? Perché non aveva attraversato l’ex-Unione Sovietica e la Cina passando a nord dell’India e del Tibet?
Ebbene Marthaler ha sottolineato come la tradizione di famiglia abbia giocato un ruolo fondamentale nella sua decisione di affrontare e vincere le strade più alte della Terra. Alpinista da sempre, educato all’impresa alpinistica fin da piccolo e nato in una nazione “dove la montagna frammenta l’orizzonte” era inevitabile che il “canto ruvido” dell’Himalaya lo avrebbe attirato a sé. Non dovevo dimenticare poi che i primi alpinisti raggiungevano le montagne non in auto ma in bici carichi di tutta l’attrezzatura…
Leggendo “Lo zen e l’arte di andare in bicicletta” lo stile del ciclonauta di Ginevra mi ha ricordato in alcuni passaggi il modo di raccontare le sue peregrinazioni per l’Asia di un grande scrittore svizzero, Nicolas Bouvier (1929-1998) di cui vi consiglio il suo libro più famoso: “La polvere del mondo”. Cosa pensava di questo paragone?
Marthaler si schermisce e riconosce il debito che ha ogni scrittore di viaggio di lingua francese verso Nicolas Bouvier (davvero un gigante della letteratura anche se poco conosciuto in Italia), mi fa notare la differenza tra un viaggiatore che scrive (lui) e uno scrittore che viaggia (Bouvier); eppure con le dovute proporzioni credo che anche Marthaler giochi con il linguaggio, la sua scrittura non si limita a descrivere ma trasfigura la realtà per riportarci le emozioni che, ad ogni colpo di pedale, questo nomade ha provato viaggiando.
A metà maggio a Milano alla presentazione del libro tenutasi presso la sede del Touring Club, durante la quale Marthaler ha potuto mostrare ai presenti anche le foto del suo viaggio commentandole una ad una, ho pensato a quanto è cambiato il quadro geo-politico dell’Eurasia in dieci anni! Si rimetterebbe a viaggiare per il mondo pedalando domani?
Non ha esitazioni Marthaler a rispondermi affermativamente, anzi rifarebbe tutto uguale. Certo le guerre in Caucaso ora sono deflagrate, il terrorismo ha reso le frontiere più rigide, alcune piste da lui battute non sono più percorribili dalle biciclette ma asfaltate sono diventate anzi molto pericolose. Alcuni ciclisti poi viaggiano per competere invece che per vivere e anche internet lasciandoci perennemente connessi non ci permette purtroppo di percepire il viaggio come rottura/ricerca.
Concludo citando una sua frase: “Viaggiare non significa misurarsi [con il mondo], ma abbracciarlo, liberarsi. Il peso della propria bici rappresenta il prezzo della propria libertà: saper perdere, senza risparmiarsi lo sforzo, per ingrandire la propria vita, andare verso una destinazione sconosciuta che conosce soltanto il nome che si dà”.
Cicloviaggiatori: Claude Marthaler e il suo giro del mondo in bicicletta é stato pubblicato su outdoorblog alle 07:55 di mercoledì 26 maggio 2010.